Turismo sanitario, solo 5.000 stranieri si fanno curare in Italia ma dati in crescita!

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In un mondo in cui la parola globalizzazione sta sempre più accrescendosi di nuove specifiche, anche il turismo sanitario è una realtà con cui è necessario confrontarci.

Non volendo in questa sede trattare l’aspetto della migrazione interregionale dei pazienti – che vede ancora oggi un gradiente nord-sud di estrema importanza, sia a causa delle liste di attesa sia per la ricerca di strutture di eccellenza, particolarmente in ambito chirurgico – vorremmo focalizzare l’attenzione su un aspetto di estrema rilevanza: lo spostamento dei pazienti tra le varie nazioni intra ed extraeuropee.

Ogni anno nel mondo sette milioni di persone si mettono in viaggio per motivi di salute, generando già oggi un volume d’affari di cento miliardi di dollari.

Se però a tutti è noto lo spostamento di pazienti italiani verso luoghi di cura esteri, i dati statistici indicano sempre più un incremento della attrattività delle nostre strutture sanitarie (specie quelle di maggior valore) per coloro che necessitano di cure specialistiche.

Una riprova viene dal primato italiano nella classifica europea degli ospedali che hanno conquistato il sigillo d’oro della qualità, assegnato dalla prestigiosa Joint Commission International, che certifica l’aderenza a ben 368 standard di sicurezza e qualità delle cure.

Uno studio della Deloitte, come detto, calcola che ogni anno nel pianeta:

  • sette milioni di persone si mettono in viaggio per motivi di salute,
  • generando un volume d’affari che è stimato giungerà nel 2018 a 150 miliardi di dollari.
  • E i ricavi generati dal turismo sanitario ammontano già a 12 miliardi di euro in Europa, secondo le stime dell’Osservatorio OCPS-SDA Bocconi.

Ad aprire la strada a questo nuovo «mercato» è stato circa quindici anni fa il Bumrungrad Hospital di Bangkok, che da ospedale sull’orlo del fallimento a causa dei tagli dei fondi pubblici oggi è diventato un centro di assoluta eccellenza e cura ben quattrocentomila stranieri ogni anno.

Non a caso la Thailandia è diventata la prima destinazione in assoluto a livello mondiale nel campo del medical tourism con 1,2 milioni di visite, seguita da Messico (un milione), Malaysia (850 mila), Usa (800 mila), Singapore (610 mila) e India (400 mila).

Turismo sanitario

Certo, oggi il saldo in Italia è ancora negativo. Infatti, contro i duecentomila pazienti italiani che vanno oltre confine soli cinquemila stranieri scelgono di farsi curare nelle nostre strutture sanitarie di rilievo. Tale dato risente, però, della tipologia di cure che i nostri connazionali ricercano in altri Paesi rispetto a quanto le nostre strutture di eccellenza possono fornire ai pazienti che giungono dall’estero.

Per gli interventi ortopedici, in assoluto i più richiesti, si va nel Far East, in Thailandia o in Malesia, ma anche in Turchia e Ungheria.

Per cardiologia e cardiochirurgia la prima destinazione sono gli Usa. Per le cure contro il cancro invece svettano Francia e Germania e, a livello globale, ancora una volta gli Stati Uniti.

Se invece si ha bisogno di un semplice ritocco estetico la meta preferita è il Sud America. In primo luogo il Costa Rica, a seguire Brasile e Messico. Noi italiani invece andiamo soprattutto in Croazia per le cure dentarie o in Turchia se abbiamo bisogno di un trapianto di capelli a prezzi contenuti.

Da noi si viene invece per prestazioni a più alto tasso di specializzazione: neurologia, cardiochirurgia, oncologia, chirurgia bariatrica e ortopedia in particolare.

A ricercare cliniche e ospedali italiani per ora sono soprattutto pazienti che provengono dai Paesi arabi, da Svizzera, Russia e Albania e che spendono per cure e interventi cifre variabili tra i 20 e i 70 mila euro. Questo senza calcolare le spese generate dal corollario turistico, perché spesso

Si accompagna il proprio familiare bisognoso di cure, ed a volte il paziente stesso finisce poi per alloggiare in qualche bell’albergo, fare shopping e godersi arte e natura. Il fenomeno del medical tourism è promettente sia in termini di posizionamento globale dell’Italia, sia in termini di supporto alle finanze pubbliche. Un’ulteriore spinta al movimento sanitario è stata data dall’approvazione della direttiva europea 2011/24 che ha regolamentato il settore del turismo sanitario con l’obiettivo di permettere ai cittadini europei di curarsi liberamente in Stati diversi da quello di residenza, con la stessa copertura sanitaria in base a determinate regole condivise a livello internazionale.

Molte strutture sanitarie, sia pubbliche che private, hanno iniziato in questi ultimi anni a svolgere una attività: dal Rizzoli di Bologna al Niguarda di Milano, alla Città della salute di Torino.

Ma la stessa organizzazione network Health in Italy, in cui sono presenti sia strutture pubbliche che privati: l’azienda sanitaria universitaria integrata di Udine, l’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento, la Fondazione Poliambulanza, l’Humanitas Research Hospital, il Policlinico Universitario Campus Bio-medico, il Rome American Hospital, il C.O.T. di Messina, il Centro Chirurgico Toscano, l’Ismett e il Gaslini, che ha anche recentemente attivato un’opera di ricerca di nuovi mercati a cui poter presentare le nostre eccellenze.

Per leggere l’intero articolo: Fonte IL GETTONE QUOTIDIANO DI INFORMAZIONE. Autore MARCO TURBATI* cardiologo, consulente scientifico Qu.A.S.